La fotografia oltre la rappresentazione, una necessità improcrastinabile
“ La foto è il solo modo di percorrere la città in silenzio,
di attraversare il mondo in silenzio.”
Jean Baudrillard
Produrre informazioni, immagini, opere visive che risultino intrattabili (Jacques Ranciere). Immagini inutilizzabili da parte di un sistema informativo concepito solo per creare consenso e conferme per se stesso.
Creare immagini che si basano su una “sospensione”, sul mutismo provvisorio davanti a un oggetto visivo che vi lascia disorientati, privi della capacità di dargli senso, forse persino di descriverlo; – tale sospensione – imporrà quindi la costruzione di questo silenzio in un lavoro del linguaggio capace di operare una critica dei propri cliché. (Georges Didi-Huberman)
L’Arte, se non vuole rinchiudersi in un’illusoria auto-certezza di mera riproposizione di un’identità uguale a se stessa, definita una volta per tutte, è infatti costretta a cercare nuove vie, a praticare nuove sperimentazioni linguistiche per strutturare nuove possibilità di senso e comprensione.
Oggi questo significa ricercare il silenzio, trasformando la visione in un percorso esperenziale.
Fotografare non solo quel che si vede, ma anche ciò che si ascolta, si odora, si sente emozionalmente, gli spazi vuoti, l’impermanenza.
Essere dentro il paesaggio e vedere il paesaggio che ti guarda.
Corteggiare il fotografabile prevede lentezza, attesa, dedizione dello sguardo e della mente in silenziosa solitudine.
Volutamente in contrasto con le modalità sempre più superficiali e rapide del vedere, dobbiamo tornare ad una pratica fotografica capace di sostare, di attendere e osservare in silenzio fino a creare visioni che mormorano, che non urlano, che replicano il silenzio e ce lo raccontano.
Una fotografia capace di approdare a rimandi e suggestioni, che apre a sospensioni, incertezze, ambiguità, che incontri scenari segreti rarefatti, lontana da suggerimenti, sensi univoci e conformi.
Immagini che attraversano realtà e finzione, passato e presente, bellezza e inquietudine, dotate di uno spessore misterioso, di una vibrazione che le anima, di un tempo cristallizzato.
Immagini che ci conducono negli interstizi di spazi sconosciuti, dove il nostro immaginario si apre all’inafferrabile ma persistente del non so che.
Immagini frutto di relazioni tra visibile e invisibile, presenza e assenza di un altrove mai davvero raggiungibile, immagini che non si esauriscono né nella mera intuizione e neppure nel pensiero concettuale.
Sapere assumere il silenzio come modalità di relazione con il mondo, significa accogliere i ricordi, le tracce, inoltrarsi in un tempo dilatato, aperto al rammemorare.
La fotografia del silenzio è quella che sa creare uno spazio di silenzio dentro di sé, un intervallo dissonante che ferma, almeno per un attimo i nostri pensieri abituali per aprirli verso un altrove.
Il silenzio, pur nella sua apparente debolezza, delicatezza, fragilità, può essere forza, alterità, là dove ci interroga, perché incrina le nostre certezze, perché ci inquieta, offrendosi nel suo mistero e mostrandoci la dimensione assente nelle immagini e nella realtà stessa.
Gabriele Agostini
“…Fotografare non solo quel che si vede, ma anche ciò che si ascolta, si odora, si sente emozionalmente, gli spazi vuoti, l’impermanenza…”!!!
Articolo superlativo.
Sempre grata dei tuoi molteplici
insegnamenti!
Pina Zenga
un fuoriclasse. come al solito, d’altra parte!
complimenti