JOSEF SUDEK: Topografia delle macerie: Praga 1945
Uomini che sopra oscuri ponti camminano
dinanzi a santi
dai fiochi lumini.
Nubi che sopra il cielo grigio passano
dinanzi alle chiese
dai campanili che imbrunano.
Uno che al parapetto squadrato si appoggia
e guarda l’acqua serale,
le mani su vecchie pietre.
Franz Kafka
Tre fattori convergono sulla fotografia:
- l’essere fonte per la storia;
- l’essere agente di storia;
- l’essere strumento di narrazione
Questi tre piani si sovrappongono continuamente, risulta difficile stabilire dei confini da un settore all’altro.
Bisogna prendere atto che la fotografia è immune a ogni tentativo di rigida sistematizzazione.
Una fotografia, prodotta da un fotografo, è il prodotto di una quantità straordinaria di elementi: innanzi tutto il suo sguardo fotografico, il suo modo di inquadrare (la sua intenzionalità), una cultura della rappresentazione, la sua macchina e le sue competenze tecniche ed infine il suo archivio di immagini mentali o reali. Come si vede è al contempo produttore di fonti e un agente di storia.
Come trovare, dunque, la storia nella fotografia?
Che cosa della storia racconta la fotografia?
La fotografia, dunque, può essere letta in trasparenza, come fonte, per trovare in essa gli elementi non intenzionali o per porre nuove domande a quegli elementi la cui presenza risponde a una precisa intenzionalità; in questo risulta imprescindibile l’apporto di discipline che storicamente hanno cercato nella fotografia altro dalle intenzioni del suo produttore. Intenzionalità o non intenzionalità convergono poi nella fotografia come agente di storia. Infine la fotografia è ed è stata un linguaggio per raccontare eventi drammatici e felici, vicende personali e collettive, in una parola, la storia.
C’è una questione di estrema urgenza, ed è quella che riguarda l’uso storico dell’immagine fotografica.
Da tempo, il destinatario del lavoro dello storico non è più solo chi si occupa del suo stesso ambito disciplinare. Esiste un uso pubblico della storia, di cui i media sono i principali mezzi di trasmissione, che si propone obiettivi non sempre scientifici, ma esistono anche fruitori non specialisti che rivolgono un serio interesse alla disciplina. È un pubblico che dedica attenzione a iniziative editoriali o audiovisive e che richiede una proposta culturale che risponda a una qualità non proprio da consumo di massa.
Questa mostra va in questa direzione, di ogni immagine individua l’autore, il luogo, la data, l’evento, il committente, non limita la lettura a un unico documento fotografico: la serialità consente di ricondurre l’indeterminatezza dei frammenti a sistema, cerca quindi elementi qualitativi nelle relazioni tra i singoli documenti. Confronta la fotografia con altre fonti sia relative al documento fotografico sia al suo contenuto (fonti orali, cartacee). Studia i codici di rappresentazione e autorappresentazione tenendo conto delle loro origini e delle motivazioni che li hanno prodotti. Confronta il contesto storico-fotografico con il contesto storico, indaga sulla tecnica fotografica e sulla sua sintassi.
È una proposta di alto profilo culturale quella che oggi ci apprestiamo ad inaugurare.
L’autore, credo, non ha bisogno di presentazione. Tuttavia vorrei indegnamente spendere qualche parola su di lui.
Josef Sudek è un autore enigmatico e affascinante, attratto da visioni misteriose e cariche d’aura, da dettagli che rendono ogni foto un unicum, e da una tecnica spesso solo apparentemente imperfetta, soprattutto nella stampa. Sudek ama i grigi indefiniti, considerati spesso dai suoi contemporanei come una carenza di stile, da lui enfatizzati soprattutto nella scelta delle stampe a contatto. Seppure privato del braccio destro durante la Prima guerra mondiale, la fotografia è divenuta il centro del suo lavoro. Sudek sa attendere, anche per ore, a volte per interi giorni, il momento giusto. Nel suo caso non è un eufemismo dire che scriva con la luce, quella luce ricercata che caratterizza ogni suo scatto.
«Amo la vita degli oggetti», ha dichiarato in una intervista degli anni Cinquanta. «Quando i bambini vanno a letto, gli oggetti prendono vita. Mi piace raccontare storie sulla vita di oggetti inanimati». Sudek come cacciatore di magie dunque, anche nelle macerie.
Concludo citando le ultime righe di Praga magica di Angelo Maria Ripellino: “ Non avrà fine la fascinazione, la vita di Praga. Svaniranno in un baratro i persecutori, i monatti. Ed io forse vi ritornerò. Certo che vi ritornerò. In una bettola di Mala Strana, ombre della mia giovinezza, stappate una bottiglia di Mělník. Andrò a Praga, al cabaret Viola, a recitare i miei versi. Vi porterò i miei nipoti, i miei figli, le donne che ho amato, i miei amici, i miei genitori risorti, tutti i miei morti. Praga, non ci daremo per vinti. Fatti forza, resisti. Non ci resta altro che percorrere insieme il lunghissimo, chapliniano cammino della speranza.”